L’approccio trasformativo “è buono solo per…”

Uno dei falsi miti che circolano nel mondo della mediazione o comunque fra chi si occupa di conflitto è che l’approccio trasformativo sia una cosa interessante, ma… vada bene solo per taluni tipi di conflitti (magari quelli in cui le parti manifestano particolare animosità, o che riguardano rapporti di lunga data, o la necessità di mantenere relazioni in futuro e che richiedano una sorta riconciliazione). Altre questioni (in particolare quelle relative a soldi) richiederebbe ben altri – magari più muscolari o smaliziati – atteggiamenti.

Impostazione sbagliata. Che tradisce la non conoscenza della filosofia alla base del metodo e dei modi in cui questo viene implementato. L’approccio trasformativo richiede al mediatore soprattutto un atteggiamento mentale: quello di supportare l’autodeterminazione delle parti mentre queste affrontano una situazione conflittuale. Chiaramente questo si applica a tutte le ipotesi, indipendente dalle questioni trattate ed al contesto.

Un recente contributo di Dan Simon al blog dell’ISCT affronta il tema e lo fa mettendo in evidenza come:

a) prima di tutto, è molto difficile, se non impossibile, sapere veramente quale sia l’oggetto di un conflitto PRIMA di iniziare la mediazione. L’esperienza mostra come l’interazione conflitto possa svolgersi e toccare aspetti neppure ipotizzati, prima di cominciare a parlarsi. È illusorio quindi pensare di categorizzare tipi di lite e pensare che un approccio di mediazione vada per per alcuni e meno bene per altri.

b) non rientra fra gli obiettivi del mediatore trasformativo ‘riconciliare’ le parti. Naturalmente ciò può essere un risultato del suo intervento (spesso lo è), ma non è un obiettivo perché tradirebbe il principio di rispettare l’autodeterminazione.

c) discutere di soldi o rapporti commerciali comunque mette in gioco decisioni umane. In realtà l’approccio trasformativo, lungi dall’essere inadeguato alla business mediation, è molto più utile alle parti che altri approcci, proprio perché agevola il negoziato e l’intervento del mediatore si mantiene sempre rispettoso dell’autodeterminazione degli attori in gioco.

Per Dan Simon, insomma, i tipi di controversie che possono essere gestite bene da un mediatore trasformativo, sono.. “tutte quelle che stanno a cuore alle parti coinvolte”.

 

Ultime sul ‘dialogo trasformativo’

In occasione della recente conferenza europea dal titolo “Transformative Dialogue: Party-Driven Conversations Across Differences”, organizzata in Olanda dall’ISCT insieme alla Stichting Het Transformatieve Model (una fondazione che promuove il ricorso all’approccio trasformativo nella gestione dei conflitti), una parte dei lavori – curata da Judy Saul and Erik Cleven – è stata dedicata al “dialogo trasformativo”. Questo è l’obiettivo dei facilitatori che lavorano con gruppi e comunità in conflitto e cercano di co-costruire con gli interessati coinvolti un modo di interagire che produca effetti positivi.

Judy Saul and Erik Cleven. Photo by Abele Reitsma

Questa co-costruzione si traduce essenzialmente nel supporto che il facilitatore dà alle persone in conflitto nel decidere i temi da affrontare ed i modi per farlo. Anche in tali situazioni, che – a differenza delle mediazioni di liti interpersonali, facilmente coinvolgono una pluralità di centri di interesse e numerosi partecipanti – l’approccio non direttivo caratterizza l’azione del facilitatore: non è lui/lei che decide di che parlare e con che priorità.

Al meeting olandese hanno preso parte tra gli altri facilitatori operanti in scenari conflittuali mondiali, che hanno riportato le loro esperienze. Così Vesna Matovic, Head of Training and Learning della International Alert, un’organizzazione inglese, che ha parlato di dicome ha organizzato sessioni di dialogo trasformativo in Somalia.

Jody Miller ha riferito poi dell’iniziativa denominata “100 Cups of Coffee“, organizzata a Poughkeepsie, una cittadina dello stato di New York, per la quale il dialogo trasformativo è stato il metodo usato per la discussioni di questioni diverse interessanti la comunità.

Angie Gaspar  (staff counselor all’Imperial College Healthcare NHS Trust di Londra) and Anja Bekink, mediatrice olandese, hanno parlato infine delle loro esperienze in ambito ospedaliero e dei conflitti fra pazienti, loro parenti, medici e altri operatori.

Mediatori trasformativi a Brno

Da qualche anno anche in Repubblica Ceca l’approccio trasformativo alla mediazione sta prendendo piede (grazie anche a ADR Quadra che organizzò nell’ottobre del 2012 un corso base a Milano cui parteciparono Lenka Poláková e Robin Brzobohaty, due mediatori familiari di Olomuc che poi cominciarono a divolgare il verbo nel paese).
Un articolo recentemente postato da Dan Simon (componente il board di ISCT) dà conto di un workshop di perfezionamento tenuto lo scorso luglio presso il centro di mediazione di Brno diretto da Martina Cirbusová.

L’incontro era focalizzato sui conflitti in ambito familiare ed i mediatori si sono trovati ad esercitarsi su casi nei quali il conflitto era di particolare intensità. Particolare attenzione è stata posta alle strategie del mediatore che includono l’uso del c.d. check-in, vale a dire la verifica con la/e parte/i di come valutano la situazione e di quali mosse pensano sia opportuno intraprendere. Ad esempio in un caso esaminato i due coniugi avevano affrontato animosamente  vari argomenti, partendo dalla programmazione delle visite ai figli ma finendo presto a parlare di soldi. Quando il mediatore ha riassunto quello che era emerso ha detto “All’inizio voi avete parlato del calendario delle visite ed accennato al fatto che sarebbe opportuno metter nero su bianco, ma poi il discorso è passato a temi diversi. Volete riprenderlo ora questo tema, o preferite…?“.

Evidentemente il check-in è uno strumento che da usare con delicatezza perché facilmente può essere usato a fini direttivi (portare cioé le parti a discutere di quello che a parere del mediatore è importante affrontare). Il mediatore trasformativo invece cura che questa sia un’occasione per le parti di valutare la situazione ed esprimere, se credono, il loro punto di vista. La chiave è l’atteggiamento mentale del mediatore: non tradire l’idea di aiutare candidamente le parti, senza imporre loro il proprio punto di vista.

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