In occasione della recente conferenza europea dal titolo “Transformative Dialogue: Party-Driven Conversations Across Differences”, organizzata in Olanda dall’ISCT insieme alla Stichting Het Transformatieve Model (una fondazione che promuove il ricorso all’approccio trasformativo nella gestione dei conflitti), una parte dei lavori – curata da Judy Saul and Erik Cleven – è stata dedicata al “dialogo trasformativo”. Questo è l’obiettivo dei facilitatori che lavorano con gruppi e comunità in conflitto e cercano di co-costruire con gli interessati coinvolti un modo di interagire che produca effetti positivi.

Judy Saul and Erik Cleven. Photo by Abele Reitsma

Questa co-costruzione si traduce essenzialmente nel supporto che il facilitatore dà alle persone in conflitto nel decidere i temi da affrontare ed i modi per farlo. Anche in tali situazioni, che – a differenza delle mediazioni di liti interpersonali, facilmente coinvolgono una pluralità di centri di interesse e numerosi partecipanti – l’approccio non direttivo caratterizza l’azione del facilitatore: non è lui/lei che decide di che parlare e con che priorità.

Al meeting olandese hanno preso parte tra gli altri facilitatori operanti in scenari conflittuali mondiali, che hanno riportato le loro esperienze. Così Vesna Matovic, Head of Training and Learning della International Alert, un’organizzazione inglese, che ha parlato di dicome ha organizzato sessioni di dialogo trasformativo in Somalia.

Jody Miller ha riferito poi dell’iniziativa denominata “100 Cups of Coffee“, organizzata a Poughkeepsie, una cittadina dello stato di New York, per la quale il dialogo trasformativo è stato il metodo usato per la discussioni di questioni diverse interessanti la comunità.

Angie Gaspar  (staff counselor all’Imperial College Healthcare NHS Trust di Londra) and Anja Bekink, mediatrice olandese, hanno parlato infine delle loro esperienze in ambito ospedaliero e dei conflitti fra pazienti, loro parenti, medici e altri operatori.